Castello di Monsanto

La coscienza di camminare sopra un tesoro

· di Olga Sofia Schiaffino ·

 


 

I

l cancello si apre solennemente, su di un vialetto alberato, che conduce al piazzale dove ci sta aspettando Valentina.

Ci troviamo in un luogo magnifico, curato nei minimi particolari, come testimonia la gestione amorevole degli spazi verdi e delle fioriture.

Entriamo nella sala d’ingresso e notiamo nel pavimento un vetro che svela la natura fossile del terreno… “10.000 anni fa c’era il mare ed il galestro riesce a trattenere l’umidità, condizione favorevole per le radici delle vite che si fanno strada in profondità”.

Le bottiglie in esposizione ci raccontano la storia dell’azienda: Aldo Bianchi, nativo di San Gimignano, emigra a Gallarate dove apre un ricamificio.

Il richiamo della sua terra natia,

la suadade -come direbbero i brasiliani- lo spinge qualche anno dopo, ad acquistare il Castello di Monsanto, dal quale, nei giorni tersi, si può vedere in lontananza il suo paese d’origine.

La tenuta viene donata al figlio Fabrizio per le nozze, all’inizio degli anni sessanta ed egli osservando i vigneti e confrontandosi con i fattori, decide di produrre vino, un vino speciale da un cru -Il Poggio- , da sempre riconosciuto quale luogo particolarmente vocato, per la sua posizione su di un dolce rilievo e per l’impianto caratteristico a giro poggio. Il primo vino esce nel 1962.

Fabrizio decide di ingrandire la proprietà, acquistando i terreni intorno al castello e impiantare cloni di Sangiovese (provenienti dalla vigna madre de Il Poggio) e di Colorino e Canaiolo, vitigni che per un 10% completano la ricetta Monsanto per il Chianti classico.

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La stessa proporzione di uve

viene utilizzata per la riserva, provenienti però da differenti vigne. Attualmente Castello di Monsanto si estende su 72 ettari di vigneto, 200 in totale se si contano il bosco e gli ulivi, e sono circa 500.000 le bottiglie prodotte.

Alcuni terreni sono situati nella DOCG Chianti Colline Senesi ed il Monrosso, agile e fruttato Sangiovese, è un’espressione vivace e convincente.

Negli anni settanta furono inoltre piantati Chardonnay e Cabernet Sauvignon, che ritroviamo in due etichette che degusteremo.

La visita procede e ci avviamo alla cantina e così prosegue anche la storia.

Laura Bianchi, figlia di Fabrizio, avvocato, decide di cambiare vita e di portare avanti l’impegno della famiglia; infatti dal 1989 prende in mano l’azienda e viene affiancata dal padre Fabrizio e dal 2001 dall’enologo Andrea Giovannini.

Laura ricorda sempre la commozione e lo stupore che da bambina provava, guardando come un grappolo di uva potesse diventare vino.

La Vendemmia

è rigorosamente manuale, tenendo separate le singole vigne.

Vigna Poggio, proprio per la sua conformazione (a giropoggio), viene raccolta a parcelle e le uve mantenute separate, per scegliere le migliori per il cru.

La Fermentazione avviene in acciaio, in elementi tronco conici a t controllata, 20-25 gg di macerazione, i lieviti sono indigeni, il rimontaggio con delestage due volte al giorno; dopo aver fatto gli assemblaggi, il vino viene allocato in botti di rovere Francese (Chianti base e Classico) e le riserve in tonneaux o barriques usate per 18-24 mesi.

Ci dirigiamo ora all’esterno

per visitare la barricaia e la cantina storica, passando per il parco e l’orangerie ci troviamo di fronte ad un gioiello autentico: una galleria scavata a mano da tre uomini del posto, Giotto, Mario e Romolo.

Essi scavarono questo corridoio lungo 300 m tra il 1986 e il 1992, usando la tecnica dell’arco ribassato e aggiungendo alla copertura della volta, le pietre di galestro provenienti dai nuovi impianti, un lavoro davvero mirabile.

Si possono ammirare le bottiglie delle vecchie annate (dato che il lungimirante Fabrizio Bianchi ha messo da parte uno storico di circa 100 bottiglie per annata), nelle nicchie, inoltre alcune bellissime sculture (tra cui una statua attribuita alla scuola del Giambologna) e in altre, il galestro con le sue fratture, a stupire il visitatore.

Siamo inoltre meravigliati

nel vedere in alcune rientranze della parete, chiuse da cancellata e con un nome sovrascritto, le bottiglie messe da parte per i nipoti e i due cani cinesi, a guardia degli esemplari più antichi, tra cui quelli della prima meravigliosa annata de “Il Poggio 1962”, coperti di polvere e di magia.

Una visita affascinante ed emozionante perché oltre alla passione per il vino, si respira tradizione, amore per la propria terra, per la famiglia, per le origini.

Degustazione:

Chardonnay 2015: a metà degli anni ’70 Fabrizio pianta questa uva, prima ad uso e consumo familiare, ne utilizza una parte per il “Bianco dei Bianchi” spumante; fermentazione acciaio per il 30 %, il resto in tonneau, per mantenere note di frutta esotica mineralita, note di nocciola e lieve tostatura.

Chianti classico 2014: rosso rubino gioviale, naso fruttato con note di pepe nero, lineare, pulito molto sincero, bel finale e chiusura sapida.

Chianti Classico riserva 2013, porta l’etichetta storica di Monsanto del 1962, che illustra un quadro realizzato nell”800, da un pittore Fiorentino; colore avvolgente selezione di uve da vigneti differenti, 18 mesi di affinamento in barriques usate, 3-6 in bottiglia. Un colore profondo, naso franco di ciliegia, prugna Mirabelle, rosa , pepe e sentori di speziatura dolce, secco, caldo ma vibrante di un tannino quasi disciplinato, vivace.

Chianti Classico Il Poggio 2012: vigna di 5 ettari e mezzo, localizzata nel punto più alto della tenuta, sempre ventilata, correnti dal nord e mare, attorniata dai boschi. Vengono prodotte circa 15.000 bottiglie. Decisamente complesso, elegante, note di humus, tartufo, viola, ciliegia marasca, iris, prugna, tabacco, pepe, affinamento di venti mesi in tonneau e due anni in bottiglia. Immenso, buona dotazione calorica, tannino rigoroso ed esemplare.

Nemo 2009: -Cabernet Sauvignon 100%- proviene dal vigneto “Il Molino”, piantato nella metà degli anni ’70, il nome deriva dal detto “nessuno (Nemo) è profeta in patria, perché tutti sconsigliarono Fabrizio riguardo alla sua scelta. Il naso non mente sul vitigno, si apprezza la nota vegetale, minerale, note medicinali, speziatura, tannino scalpitante e muscoloso, grande potenziale di invecchiamento, spettacolare in abbinamento con cacciagione (ciao capriolo, ti presento un amico -Nemo- scherza argutamente Valentina).

Chiudiamo in bellezza con

Chimera Vin Santo 2005, Malvasia e Trebbiano che riposano 8-10 anni in caratelli di varie tipologie di legno e che viene poi assemblato in contenitori sigillati con ceralacca. Un nettare ambrato, con note di zabaione, zafferano, albicocca candita, dattero, noci di macadamia, da accompagnare con un formaggio erborinato o, squisitamente da meditazione.

Ringraziamo la nostra guida e la famiglia Bianchi per l’accoglienza squisita e l’indimenticabile esperienza.

 

Castello di Monsanto
Via Monsanto, 8
Barberino Val d’Elsa FI
+39 055 805 9000

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