Un caleidoscopio di profumi e sensazioni olfattive
· di Chiara Campora ·
Questa sera beviamo un vino che non ti posso spiegare, è qualcosa che ti cambierà la vita: un bianco della Rioja”.
A una dose così massiccia di entusiasmo, contrappongo subito il mio (talvolta) distruttivo realismo: “E cosa avrà di così speciale un bianco della Rioja??”.
La Rioja, lo sanno anche i muri, è la patria del Tempranillo, la sua storia enologica si intreccia con quella francese, soprattutto con la zona di Bordeaux, da dove molti produttori, verso la fine dell’Ottocento, scendevano alla ricerca di uve non flagellate dalla fillossera.
“Tu assaggia questo bianco, è una cosa unica”.
“Un unicorno viola?”
“Praticamente sì”.
La storica Bodega
con base a Haro (Rioja Alta) è stata fondata nel 1877 da don Rafaél Lopez de Heredia y Laudeta e ha mantenuto, in quasi 150 anni di storia, una forte tradizione familiare e una produzione di vini di altissimo livello, pur crescendo fino alle dimensioni attuali di circa 50.000 mq.
Il vigneto Tondonia, autentico Cru dell’azienda, ha superato il secolo di vita e si trova in una sorta di depressione tonda sulla riva destra del fiume Oja: il terreno calcareo-argilloso fa da culla ai “tradizionali” tempranillo, garnacha e marzuelo, ma fa crescere bene anche viura e malvasia.
Il viura, conosciuto anche come macabeo, va a comporre la cuvée base del Cava, mentre nella Rioja è stato progressivamente relegato a comprimario dei più redditizi vitigni a bacca rossa, riducendo la superficie vitata fino quasi al 10% e consentendo rese per ettaro molto elevate, che naturalmente poco si accordano con produzioni di grande qualità.
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Ma non tutto è perduto,
mi assicura il mio compagno di bevute (e non solo): qui abbiamo un unicorno viola.
Il Viña Tondonia Reserva Blanco è composto al 90% da viura con un 10% di malvasia e riposa 6 anni in botti, rigorosamente assemblate nella Bodega anche con legni di provenienza estera, subisce una chiarifica con bianco d’uovo, ma nessuna filtrazione all’imbottigliamento.
Veste un giallo dorato brillante, luminosissimo e splendidamente vivido.
Ma è appena lo metti al naso che arriva una crisi di identità: sembra uno Chablis dalle note burrose e dall’accenno minerale, ma poi si trasforma in un Sauternes, con decisi toni speziati e di frutta candita.
E’ un caleidoscopio
di profumi e sensazioni olfattive, letteralmente da perdere la testa.
Mi impongo mentalmente di tornare più volte a ficcanasare sul bicchiere, anche se so già che qualunque sentore mi verrà in mente, questo vino me lo regalerà, in una sintesi perfetta del concetto di ampiezza olfattiva.
Infatti, dopo qualche minuto, ecco arrivare una sferzata di camomilla e di erba fresca, che poi cedono il passo a vernice e di cera d’api.
In uno stato di “divina” confusione, lo assaggio: ingresso dritto, acidità ben stampata che lo rende meno avvolgente di quanto mi sarei aspettata (e ne sono ben lieta, perché le rotondità non sono nelle mie corde…) e una sorprendente vena sapida che lo proietta all’infinito.
Ha 20 anni di vita,
ma frequenta ancora l’asilo e di sostenere l’esame di maturità non vuole proprio saperne.
Va servito a 14°-16°, per non privarsi della gioia di un bouquet davvero unico.
Perché questo è un vino unico, un unicorno viola, cioè esiste (quasi) solo nei sogni.
E in effetti questa notte ho sognato: stavo bevendo uno dei vini bianchi più longevi e spiazzanti che avessi mai assaggiato. Mi sono risvegliata con la sensazione di averlo ancora impresso sulle papille e quando ho visto la bottiglia vuota, avvolta nella sua classica retina, ho capito che la realtà supera la fantasia e che sì, a volte i sogni si avverano.
E gli unicorni esistono: ieri ne ho bevuto uno…
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R. López de Heredia Viña Tondonia, S.A.
Av. Vizcaya, 3
Haro E
+34 941 31 02 44