Villa di Negro in Lunigiana

· di Federica Calzolari ·

Logo Federica Calzolari

 


I

l pesante ed interminabile lockdown è davvero finito; tanta è la voglia di sconfinare oltre la Liguria, ma non abbastanza il coraggio di osare lunghi percorsi… Cosa fare? A due passi da casa c’è una terra di mezzo, la Lunigiana, un po’ ligure-un po’ toscana-un po’ emiliana, da sempre rifugio sicuro ogni qualvolta lo Spezzino voglia volgere lo sguardo oltre le colline che guardano il mare, in quell’entroterra ricco di storia, di acque e di boschi che rinfranca lo spirito.

Ed eccoci qui, a visitare uno dei suoi borghi medioevali più belli, Bagnone, sovrastato da uno dei tanti magnifici castelli, in Alta Lunigiana. Il paese è diviso in due nuclei: il più antico, che digrada in gironi semicircolari, è arroccato su uno sperone roccioso su cui svetta il Castello con il suo torrione cilindrico, e, più in basso, affacciato sulle acque tumultuose del torrente Bagnone, l’altro, un dedalo di viuzze ed eleganti portici in pietra.

A collegare i due abitati il ponte a schiena d’asino sotto cui scorre il fiume, insinuandosi tra gole e marmitte. In origine però per Bagnone si intendeva solo la roccaforte e il borgo antico, sorti per controllare e difendere i pellegrini lungo il percorso della via Francigena.

Proseguendo verso Castiglione del Terziere,

altro piccolo gioiello architettonico con il suo Castello risalente a prima dell’XI secolo, che custodisce una storia d’amore e di cultura che da sola varrebbe un articolo, l’automobile si inerpica su tornanti freschi ed ombreggiati da castagni, lecci, cerri, quercioli, a volte invasi da una macchia fitta e un po’ingombrante.

Sembra impossibile che in frazione Pagazzana, si possa incontrare una cantina: l’azienda Villa di Negro, di Clelia Sartori. Incuriositi, scendiamo…

“Ma non lo è affatto!” ci spiega Alessandro Di Negro, uno dei due figli gemelli di Clelia (l’altro è Francesco) che ci conduce direttamente ai vigneti ad un’altitudine di 300 s.l.m. Esposti a sud ovest, si aprono ampi e luminosi con i filari che seguono le linee di pendenza e guardano le colline che digradano verso la Val di Magra.

Alle spalle i boschi di proprietà e, più su, i contrafforti dell’Appennino Tosco-Emiliano. “Qui l’uva c’è sempre stata… Una volta si producevano 300-400 quintali l’anno e Bagnone aveva più di 5000 abitanti.”.

Leggi anche:
-52 champagne

-52 Champagne Cloe Marie Kottakis

Questo champagne è qualcosa di veramente speciale, perché pensato, desiderato, amato ...

“Nella seconda metà dell’800 il vino di Pagazzana era molto apprezzato; lo si vendeva sfuso nelle osterie ed andava a ruba.”aggiunge la titolare” È’ un racconto che si tramanda di generazione in generazione…”

Carlo Querni di Bagnone,

bisnonno del marito della signora Clelia, il dottor Giancarlo Di Negro, nei suoi possedimenti condotti a mezzadria, tra boschi e seminativi dove venivano praticati la castanicoltura, l’allevamento e la coltivazione di grano, granoturco, ortaggi e della vite, aveva voluto impiantare dei vitigni francesi: il pinot nero, il merlot e probabilmente anche il moscato.

Da allora i contadini avevano chiamato quell’appezzamento dalle uve straniere “la Francesa”, in dialetto. Si narra anche che dopo quel viaggio in Francia, nel quale aveva portato con sé anche il cuoco per carpire i segreti della cucina d’Oltralpe, oltre alle barbatelle, avesse importato, primo nell’areale di Bagnone, anche l’uso del verderame per combattere la peronospora che infestava il vigneto in quel periodo.

Alla sua morte, nel 1901, i suoi averi si smembrano tra le due figlie: Teresa Querni, sposata con Andrea Di Negro, discendente da un’antica famiglia nobiliare genovese, riceve quella tenuta, di circa 40 ettari tra boschi e coltivi, e la villa, residenza di caccia. La cura dei vigneti continua ad opera del loro erede, Giancarlo Di Negro, medico professore all’Ospedale di Sarzana, nonché marchese, e prosegue fino al 2006, quando l’ultima famiglia di mezzadri lascia la conduzione delle vigne, che, peraltro, si erano ridotte.

Cosa fare a quel punto? “Non si potevano abbandonare la villa e i terreni dei Di Negro: custodiscono la storia della viticoltura locale e fino a quel momento avevano garantito lavoro a tante persone…” ci spiega l’affabile signora Clelia, i cui occhi al di sopra della mascherina anti-covid lampeggiano esperienza, saggezza e pragmatismo.

E allora Clelia e Giancarlo danno il via ad un’Azienda Agricola,

con la consulenza dell’enologo Giorgio Baccigalupi (figura di riferimento per tutto il Levante ligure e le zone limitrofe), la collaborazione dei figli (entrambi avvocati ma che ben volentieri partecipano a questa operazione culturale, prima ancora che commerciale) e l’estro di lei, che disegna l’etichetta dei vini (è diplomata all’Accademia di Belle Arti).

Si impiantano nuovi vigneti e si affiancano ai rinnovati internazionali della “Francesa”, sfruttando i loro tralci innestati, i locali ciliegiolo, pollera, vermentino, allevati a guyot per garantire qualità, con poche gemme che assicurino più contenuto di zuccheri e componenti aromatiche.

I terreni sono di medio impasto, tendenti all’argilloso, con presenza di pietre, ben drenati. Il clima, temperato, gode degli influssi montani del vicino Appennino e di quelli marittimi del Tirreno. Ottima l’insolazione che si protrae fino a ottobre, buona l’escursione termica tra notte e giorno. Insomma, condizioni pedoclimatiche ideali in vigneti che non ti aspetti, immersi come sono in una vegetazione fitta che ha fagocitato terreni ormai purtroppo in abbandono.

Pregevole quindi l’opera di recupero e di sviluppo della Cantina Villa Di Negro, a vantaggio della memoria collettiva della tradizione agro-silvo-pastorale della zona, dell’offerta turistico-culturale (la villa viene affittata in estate) e, soprattutto, della viticoltura lunigianese.

Due ettari e mezzo di superficie vitata e un’agricoltura rispettosa dell’ambiente: niente diserbanti e vigneto inerbito, pochi prodotti sistemici e trattamenti con rame e zolfo; in cantina basse dosi di solforosa. In 10 anni di attività la produzione iniziale di 600 bottiglie passa alle 20.000 di oggi, con due vermentini, quattro rossi e un passito.

Il primo assaggio è un IGT Val di Magra Toscana Vermentino 2019 in purezza

che fa 24-36 ore di macerazione sulle bucce, sosta in botte di acciaio per 3 mesi sui lieviti e affina altri 3 in bottiglia. 12,5%.

Paglierino con tenui riflessi dorati, bisogna servirlo non troppo freddo perché al naso non risulti scontroso e riesca ad esprimere sentori di mela annurca matura e delicate note floreali di camomilla. Al palato è equilibrato, più spinto verso l’acidità che sulla sapidità, leggermente astringente e con un finale ammandorlato. Vino quotidiano, la sua dote principale è la bevibilità.

Segue l’IGT Val di Magra Bianco Sasslà 2019,

90% vermentino e 10% sauvignon, al quale è stata bloccata la fermentazione per ottenere un residuo zuccherino di 16-18 g/l. Ha suadente cadenza abboccata, un gusto più rotondo, che però non attenua la freschezza. Due vermentini insoliti per noi liguri, che esprimono sfumature di territorialità.

Passiamo alla degustazione di tre rossi.

Il Vino rosso Barbanera 2019

è un taglio di merlot (60%), pinot nero (10%), syrah e pollera, che affina 6 mesi in vasca e 3 in bottiglia. 13%.

Manto rosso rubino. Il ventaglio olfattivo è declinato su sentori floreali di petali di rosa e fiore di lavanda e fruttati di mora di rovo e ribes nero, cui si aggiunge una nota balsamica di resina di pino e una leggera speziatura di pepe. Il sorso è succoso e di buon corpo. In equilibrio acidità, sapidità e morbidezza, giusto il tannino. Un vino da bere e ribere, con quel ritorno di mora selvatica davvero rinfrescante.

Il Toscana rosso Igt Morone 2018

è un taglio di merlot (80%) e pinot nero (20%) che affina 8 mesi in botte di acciaio e 3 in bottiglia. 13,5%.

Rubino di bella lucentezza, apre con sentori di erbe aromatiche, su tutte l’alloro, poi arancia rossa, chinotto e tamarindo, quindi effluvi balsamici di eucalipto e bacche di ginepro e speziati di chiodi di garofano. In bocca entra caldo, austero, con un tannino presente e ben integrato. Di lunga persistenza, la trama fresca spinge il sorso verso una piacevole chiusura amaricante.

Il Toscana rosso Igt Morone 2016

è la versione affinata 8 mesi in barrique di un anno. 13,5%.

Rubino concentrato. Olfatto intenso di ciliegia, piccoli frutti a bacca scura e tamarindo. Seguono riconoscimenti di lavanda e rosa essiccata, quindi una nota erbacea e una lieve speziatura di pepe a vivacizzare il bouquet.  In bocca è teso, con una vibrante acidità che accompagna il sorso, caldo e snello allo stesso tempo. Il tannino è integrato e delicata la sapidità in chiusura.

Il Passito bianco Pàssum 2018

è ottenuto da uve moscato raccolte la prima settimana di ottobre. Dopo l’appassimento di 45-50 giorni, in cassettine impilabili, le uve vengono diraspate manualmente chicco dopo chicco. L’affinamento avviene in vasche di acciaio per 6 mesi e per 3 mesi in bottiglia. 14%.

Giallo ambrato cristallino, libera profumi di erbe officinali integrati con note di agrumi canditi, fichi secchi e uva passa. In bocca è pieno, ricco e setoso, un velluto in cui dolcezza e acidità sono in perfetto equilibrio.

La gamma si completa con Picol rosso e Barzamino,

entrambi rossi da tagli di merlot, pinot nero, pollera e ciliegiolo, fragranti e da tutto pasto, il secondo leggermente amabile.

Da notare gli appellativi di ogni vino: sono nomi dialettali che si rifanno ad espressioni veramente in uso tra i contadini di metà ‘800 per riferirsi ad un vino o ad un vitigno. Prova ne è l’appezzamento della “Francesa” che tuttora conserva in zona il suo nomignolo storico.

“Siamo ancora piccoli. Il nostro mercato è prevalentemente locale e ci stiamo spingendo verso il nord Italia… Ma la voglia di ingrandirci e l’entusiasmo non mancano…” conclude Alessandro Di Negro. Poi, prima di lasciarci, con uno sguardo pieno di soddisfazione, ci fa vedere un nuovo impianto di tempranillo e allora la domanda nasce spontanea: quale appellativo dialettale prenderà la parcella? E il futuro vino?

Sì, perché chiaro è l’attaccamento dell’azienda alle tradizioni del luogo e della famiglia e fortemente territoriali appaiono i vini, che esprimono appieno l’unicità dell’Alta Lunigiana.

Davvero una bella realtà.

 

 Az. Agricola Clelia Sartori – Villa Di Negro 
Loc. Pagazzana
Bagnone MS
+39 328 277 5038

Condividi...
Share on Facebook
Facebook
Tweet about this on Twitter
Twitter




Potrebbe piacerti anche: