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i è venuta in mente questa bella canzone di Adriano Celentano, mentre vivevo l’esperienza mistica di assaggiare questo monumento enologico.
È lo stordimento, il senso di spiazzamento che si prova davanti ad alcune opere d’arte, di valore indiscusso o che ci colpiscono in modo particolare.
È quello che mi è successo, fino ad oggi, davanti a Il Ratto di Proserpina di Gian Lorenzo Bernini, o a Guernica di Pablo Picasso.
Un’emozione che travolge e toglie il fiato.
In tali occasioni, penso sia inutile scattare una fotografia, ammesso che sia consentito, perché le sensazioni che ci pervadono nell’intimo annullano il resto del mondo.
Si rimane da soli davanti a queste opere iconiche e si sta in silenzio, dialogando solo con sé stessi.
Questo è quanto ho provato davanti al Monfortino 2001 di Giacomo Conterno.
Nella Langa che è quintessenza del Barolo, questa Azienda ha fatto la Storia.
Fondata agli inizi del ‘900, da Giacomo Conterno, nel comune di Monforte d’Alba.
Un altro Giacomo, il nipote, nel 1924 produce per la prima volta la Riserva Monfortino, mentre dal 1974 questo vino è prodotto solamente dalla minuziosa selezione di grappoli provenienti dalla Vigna Francia di Serralunga D’Alba.
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Dopo una prima fermentazione in tini di rovere da 61 ettolitri, con lunghe macerazioni anche a cappello sommerso, il vino viene spostato in grandi botti di legno, dove, dopo la fermentazione malolattica, affina per circa sei anni prima dell’imbottigliamento.
Questi in sintesi i principali dati tecnici, che nulla raccontano della calda e travolgente emozione che questo vino trasmette, una volta versato nel bicchiere.
Abito rosso granato, denso e cangiante.
Al naso c’è tutto il corredo olfattivo del Barolo, come lo si studia ai corsi: marasca, rosa rossa, tabacco, cuoio, con un tocco speziato (“a hint of”, come dicono negli States) che non copre, ma esalta il bouquet. Come quando in cucina azzecchi la dose di curry.
Poi compare il famoso sottobosco, e subito la mente propone l’immagine di un altro tesoro di Langa: il tartufo.
Ma non di eccessivamente terroso, come conferma lo sbuffo mentolato che ti spinge immediatamente a voler assaggiare questo nettare.
E l’assaggio è un vero prodigio.
L’espressione “trama tannica” non è una clausola di stile, ma forse solo un vino del genere può concretizzare questa idea di tannino che avvolge completamente la bocca.
Arriva in ogni punto e non se ne va più.
Caldo e confortevole come il fuoco del caminetto, ma non eccede mai, sempre sorretto da una freschezza incredibile, mai troppo grintosa, in perfetto equilibrio.
Un vino paradigma, come i verbi latini o greci.
Potente, ma con grazia.
Infinito, si stampa nella memoria, come solo un’opera d’arte sa fare.
Austero? Può darsi, se per austero si intende la classica compostezza piemontese, di un vino che è completo, in cui nulla manca e nulla sovrasta il resto.
Lo abbiamo abbinato a un risotto al fondo bruno di vitello, “ricoperto” di tartufo nero pregiato.
Un piatto omaggio a Nino Bergese, il cuoco dei Re, il Re dei cuochi.
Niente di meno per il vino dei Re, il Re dei vini.
Per il palato gioia pura, un’esperienza indimenticabile e che almeno una volta nella vita andrebbe vissuta.
Come andare a Madrid per farsi togliere il respiro da Guernica o incantarsi a Roma davanti alla perfezione dei dettagli del Bernini.