T
ra le colline morbide dell’Umbria e quelle più nervose dei Colli Orientali del Friuli, le storie di Lungarotti e Zorzettig sembrano parlarsi a distanza, unite da una stessa idea di vino come lavoro, responsabilità e memoria familiare.
A Torgiano, negli anni Sessanta, Giorgio Lungarotti decide di dare una forma nuova alla tradizione di casa: nasce così l’azienda che porta il suo nome, capace di trasformare un territorio allora quasi fuori dai radar in uno dei riferimenti dell’enologia italiana, con vini come il Rubesco e con l’intuizione – condivisa con la moglie, la storica dell’arte Maria Grazia Marchetti, recentemente scomparsa– di affiancare alla cantina un Museo del Vino e, più tardi, un Museo dell’Olivo e dell’Olio, per raccontare il legame profondo fra agricoltura e cultura.
Oggi il testimone è passato alle figlie Chiara e Teresa, che continuano a lavorare tra Torgiano e Montefalco con lo stesso sguardo lungo del padre, in un’idea di impresa che mette insieme vigneti, accoglienza e tutela della memoria del territorio.
Molto più a nord, sulle colline di Spessa di Cividale, la famiglia Zorzettig coltiva viti da oltre centocinquant’anni: qui il paesaggio è quello tipico dei Colli Orientali del Friuli, protetto dalle Alpi e mitigato dalle brezze dell’Adriatico, un mosaico di parcelle che ha visto passare imperi e confini ma dove la vigna è rimasta una presenza costante.
Oggi è Annalisa Zorzettig a guidare la cantina, con una particolare attenzione ai vitigni autoctoni e ai temi di biodiversità e sostenibilità, in una prospettiva che guarda al futuro senza recidere il filo con la storia di famiglia.
Nella scintillante cornice del Festival ideato da Helmuth Kocher ho avuto modo di fermarmi un attimo e di poter riflettere su due vini molto particolari prodotti da queste due aziende.
Lungarotti ha proposto due novità, ispirato dal concetto di leggerezza proposto dalla vision di Patron Helmuth: due vini che coniugano eleganza e bevibilità, una storia familiare e uno sguardo attento ai giovani e alle nuove tendenze nell’approcciarsi al vino.
Il 2024 ha infatti segnato per Lungarotti un momento di riflessione profonda, quel punto in cui un’azienda di famiglia sente il bisogno di tornare alle proprie radici per capire meglio dove andare.
Da questa necessità è nato il Progetto 1962, un omaggio all’anno in cui vennero alla luce le prime annate di Rubesco e Torre di Giano, due vini che hanno accompagnato la storia della cantina e che oggi vengono ripensati con uno sguardo nuovo.
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Nascono così Rubesco 62 e Torre di Giano 62, reinterpretazioni più leggere, fresche e dirette, concepite per raccontare l’Umbria attraverso un linguaggio contemporaneo, ma senza tradire lo spirito originario.
La scelta dei vitigni conferma questo equilibrio tra continuità e cambiamento: Sangiovese e Trebbiano, varietà naturalmente resistenti alle sfide del clima attuale, vengono raccolti con un leggero anticipo e lavorati in cantina con una cura pensata per valorizzare al massimo l’identità del territorio.
Anche l’immagine cambia, con un design che richiama le prime etichette degli anni Sessanta, giocando sul filo sottile tra memoria e rinnovamento.
“Il Progetto 1962 è il primo passo di una strategia più ampia, che vuole portare nel mondo l’Umbria e il suo ritmo lento,” racconta Chiara Lungarotti, amministratrice delegata.
Un’idea che si traduce in una visione fatta di autenticità, eleganza sobria e un rapporto profondo con la terra.
In questo percorso, i vini diventano ambasciatori di un modo di vivere e di un territorio che non ha fretta, ma che sa parlare al presente con la forza delle sue radici e la capacità di guardare avanti.
Umbria Doc 62 Torre di Giano 2024 è un bianco fresco, con profumi delicati di acacia e pesca bianca ottenuto da trebbiano e grechetto vinificati in acciaio; un vino che si armonizza bene come aperitivo e per accompagnare preparazioni a base di pesce anche crudo.
Umbria Doc 62 Rubesco 2022 è ottenuto da uve sangiovese che seguono una macerazione di crica 20 giorni, mentre l’affinamento si svolge in botte per circa 12 mesi.
Succoso, fragrante con note che ricordano la viola, l’arancia sanguinella e la ciliegia. In bocca il sorso è molto dinamico ed elegante e invoglia alla beva.
Della cantina Zorzettig in degustazione al banco oltre allo schioppettino davvero emozionante ho particolarmente gradito COF bianco Doc I Fiori di Leonie 2022, un vino che nasce dall’incontro di tre uve: pinot bianco, friulano e sauvignon.
È un’etichetta della selezione Myò-Vigneti di Spessa, caratterizzata da un fiore di ciliegio protetto all’interno di un calice, a rappresentare il continuo impegno dell’Azienda nella tutela del territorio.
Al naso si sviluppano aromi di pesca gialla, biancospino, scorza di limone, mela.
Il sorso è caratterizzato da una bella sapidità. Fermenta in acciaio e viene affinato in legno piccolo per sei mesi.
L’unione delle tre uve e la sintesi in questo leggiadro vino mi porta a pensare al lavoro culturale promosso dagli abitanti di questi territori, che da sempre hanno visto intersecarsi e convivere tradizioni e lingue diverse: un vino che emoziona anche per il messaggio di integrazione che porta.
Certamente, il mettere nello stesso racconto Lungarotti e Zorzettig può sembrare strano; significa invece attraversare idealmente l’Italia da Sud a Nord seguendo la linea dei filari.
Due realtà diverse per paesaggio e tradizioni, ma accomunate da un modo simile di intendere il vino, frutto di radici solide, di scelte spesso controcorrente e di una continuità generazionale che, ancora oggi, si percepisce chiaramente nel bicchiere.





