J’aime le Meunier
N
on so se sia un criterio di acquisto valido o se i grandi collezionisti di vino lo consiglino, ma siccome non sono una grande collezionista (nemmeno piccola, ahimé…), mi lascio attirare da ciò che non conosco assolutamente o da ciò che mi incuriosisce tremendamente.
Che poi è un po’ un circolo vizioso, perché tutto ciò che non conosco mi incuriosisce tantissimo e siccome so di non sapere, ecc. ecc.
Bando alla filosofia: questa maison ha catturato subito la mia attenzione perché già nel nome è un compendio sullo studio dei dittonghi francesi, autentico incubo dei tempi in cui ero scolaretta.
Superato lo scioglilingua, ho scoperto un altro aspetto di grande interesse, cioè la zona di produzione: la Vallée du Petit Morin, cioè un affluente della Marna posto al confine della Côte de Blancs con la Côte de Sézanne.
Il suolo è composto da argilla e calcare, accompagnati da un’alta percentuale di silice, il che, di solito, significa spiccati sentori minerali.
La maison
ha circa 50 anni di vita, è gestita attualmente da Cyril Jeaunaux insieme alla moglie Clémence Robin (che ha fatto aggiungere anche il suo cognome: brava!) e lavora circa 5 ettari di vigneti, in regime biologico e, in alcune microparticelle, biodinamico.
Il vitigno prevalente è il Pinot Meunier (io amo il Mugnaio), più resistente alle gelate che spesso interessano questa zona; i vini riposano in una profonda cava di gesso, ricavata sotto la cantina.
Al solo sentire la parola Meunier scatta il colpo di fulmine, e mi innamoro (virtualmente) di questa bottiglia di Rosé Brut, ottenuta con il metodo del salasso.
Dopo una macerazione sulle bucce di 40-50 ore, la fermentazione alcolica è svolta con lieviti indigeni e la fermentazione malolattica avviene in cemento smaltato: il vino riposa sui suoi lieviti per 30 mesi, protetto nella sua cava di gesso per diventare, finalmente, Champagne.
Leggi anche:In teoria promette già bene, ora vediamo come se la cava con la pratica…
Nel bicchiere si presenta con un abito che non ha nulla dei rosati “classici”: è quasi rubino, brillantissimo e punteggiato da bollicine fini e abbastanza persistenti.
Sembra quasi
che non gli interessi ammaliarti con il suo aspetto, che punti tutto sulla “sostanza”.
In effetti al naso sfodera già gran parte del suo fascino: lamponi, ribes, polpa di melograno, fiori rossi, avvolti in una nota di rabarbaro decisa e invitante.
Sono profumi netti, precisi, nessuno sconfinamento nel mondo della panificazione o della pasticceria.
Se fossi bendata direi che si tratta di un rosso “mascherato”.
Ma è all’assaggio
che cala il carico da undici nel gioco della seduzione: pieno, si espande in ogni angolo della bocca, polposo e muscolare: il residuo zuccherino è presente, ma non disturba ed è perfettamente bilanciato dalla nota di mineralità e freschezza che si rivelano nel finale e che creano una definitiva dipendenza dal bicchiere.
E’ un rosso mascherato, uno Champagne “maschio”, più potente che fine, nel complesso ma che ti conquista proprio con il suo carattere e la sua originalità, espressione di un terroir unico.
Ha retto splendidamente tutto ciò che c’era in tavola: gamberi con hummus di ceci, torta di porri, salumi.
Insomma, la classica bottiglia jolly, che risolve tutti i problemi di abbinamento, perché ha personalità da vendere, racchiusa, tra l’altro in una veste satinata davvero chic.
Dall’amore virtuale sono passata a un amore reale per questo Rosé, da Pinot Mugnaio in purezza.
Ed è un finale scontato: avrei dovuto immaginarlo.
Ma è anche e soprattutto un finale lieto, molto lieto.
A la prochaine.
Jeaunaux-Robin Cyril
1 Rue de Bannay
Talus-Saint-Prix F
+33 326 52 80 73
champagne-jr.fr