È
stato facile immaginare cosa cercasse Francesco D’Onofrio quando ha pensato la cantina Marchesi de’ Cordano: un luogo che fosse casa prima ancora che azienda, un posto dove chi entra si senta accolto, invitato a fermarsi, ad ascoltare e ad assaggiare senza fretta.
A Merano questa sensazione si percepisce nitidamente nei suoi vini, ma nasce molto prima, in quella struttura di legno luminoso e contemporaneo che domina le colline di Loreto Aprutino e che ospita la parte più pulsante dell’azienda.
È un edificio vivo, fatto per essere vissuto: ampie vetrate che lasciano intravedere la linea di imbottigliamento, una sala degustazione capace di accogliere oltre settanta ospiti, un percorso di visita che racconta il lavoro quotidiano senza filtri.
La tenuta si trova a metà strada tra Gran Sasso e Adriatico, appena trenta chilometri da ciascuno.
È una collina aperta ai venti, esposta a Sud e Sud-Est, in cui il mare porta la sua brezza salata e la montagna la sua lama fresca.
Diciotto ettari di vigne distesi su terreni argillosi e marnosi, friabili al tatto e capaci di trattenere la giusta umidità, diventano la culla di molte identità abruzzesi: Montepulciano, Trebbiano, Pecorino, Passerina, Cococciola e persino un Pinot Grigio sorprendentemente a suo agio.
Nella parte ipogea, invece, c’è una bottaia che da sola varrebbe la visita: barriques e botti grandi, insieme a quelle restaurate dall’antica fabbrica Aurum di Pescara, oggi recuperate grazie a un intervento voluto e sostenuto dalla famiglia.
È un patrimonio culturale oltre che enologico, un ponte tra passato e presente che dà a questo luogo un’anima più profonda.
Tra i vini degustati a Merano, il primo che chiede attenzione è Lu Sciablí 2021, una Cococciola in anfora che sorprende per autenticità. Il colore dorato racconta già del suo carattere evolutivo; il naso è elegante e teso, con fiori bianchi che ricordano zagara e gelsomino, frutta gialla croccante, ananas e un’eco speziata di pasticceria secca.
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La bocca è fresca e verticale, sostenuta da una sapidità che non invade ma accompagna. La scelta dell’anfora – dodici mesi di affinamento in terracotta – permette alla Cococciola di esprimere sé stessa senza interferenze aromatiche, grazie all’ossigenazione misurata dell’argilla che scolpisce la struttura e allunga il passo.
È un vino che parla a voce bassa, ma quello che dice rimane impresso.
Il Trinità 2020 interpreta il Montepulciano con una sincerità che non ha bisogno di effetti speciali. Arriva in calice con un ventaglio olfattivo ampio: frutta rossa matura, pepe verde, liquirizia, caffè, noce moscata.
La bocca è piena e ben calibrata, i tannini sono presenti ma cesellati, la persistenza è lunga senza risultare affaticante.
È un vino che tiene insieme eleganza e potenza e che richiede tempo per raccontarsi completamente, il tempo che gli è stato concesso in cantina – diciotto giorni di contatto con le bucce, dodici mesi di legno, altri dodici di bottiglia – prima di arrivare al bicchiere.
Il Santinumi 2019, Montepulciano d’Abruzzo Terre dei Vestini, è invece un vino che affascina per stratificazione.
Il colore è un rubino vivo e fondente; il profumo richiama da subito fiori appassiti e confetture scure, poi si apre a speziature di chiodi di garofano, vaniglia, pepe nero, fino a sentori tostati di caffè e tabacco.
Al palato è avvolgente, profondo, sensuale nel suo equilibrio di morbidezze e tensione.
Il breve appassimento delle uve in vigna e i venti giorni di macerazione gli conferiscono densità, mentre il lungo affinamento – un anno in barrique di primo passaggio, un altro in botte grande, un ulteriore anno in bottiglia – gli dona la compostezza dei vini che possono aspettare e migliorare a lungo.
A Merano questi vini non mostravano solo qualità tecnica; raccontavano una scelta, un’identità, la volontà di lavorare in un Abruzzo che guarda avanti senza dimenticare chi è Marchesi de’ Cordano conferma una sensibilità contemporanea – architettura, ospitalità, pulizia stilistica – ma radicata nella tradizione, nell’uso consapevole del legno, nella difesa delle varietà del territorio e nella ricerca costante di equilibrio.
È questo che rende le loro bottiglie così riconoscibili: un’armonia che nasce da mani che non hanno mai smesso di ascoltare la vigna.




