Il Lambrusco Mantovano, tra cantine sociali e biodinamica
Il Lambrusco Mantovano, tra cantine sociali e biodinamica

Il Lambrusco Mantovano, tra cantine sociali e biodinamica

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’è un lambrusco semisconosciuto, prodotto in uno stretto areale a sud della città di Mantova; quello della sottozona Viadanese-Sabbionetano si coltiva tra il fiume Oglio e la riva sinistra del Po e quello della sottozona Oltrepo Mantovano sulla riva destra padana.

È il Lambrusco Mantovano, coltivato fin da tempi remoti in questa terra di mezzo a due passi dall’Emilia.

Già Virgilio, nato a Mantova, nella quinta Bucolica testimonia la presenza della vitis labrusca in questo territorio (“Guarda come la lambrusca selvatica ha cosparso la grotta di grappoli rari.”) e “come la vite orna gli alberi e come l’uva le viti”, grazie ad una domesticazione che la vede maritata all’olmo o al pioppo per assecondarne la vigoria.

Ma il vero sviluppo della viticoltura in questa piccola zona della Lombardia sudorientale si ha nel XI secolo, quando i monaci benedettini dell’Abbazia di Polirone, a San Benedetto Po, impongono ai contadini affittuari una tassa in vino.

I frati benedettini si erano insediati nelle terre governate da Matilde di Canossa nel 1007 grazie al nonno della feudataria che aveva donato i terreni per edificare un monastero.

Da allora

l’Abbazia nobiliare aveva ampliato i suoi possedimenti fondiari e attirato comunità di monaci con le donazioni della Gran Contessa, alleata del Papato contro l’Impero, di terreni da bonificare dalle frequenti esondazioni del Po e da rendere coltivabili e produttivi.

Da allora le tipiche piantate, delimitate da filari di viti maritate ad alberi e protette da arginature, caratterizzarono il paesaggio agricolo della Bassa Pianura dell’Oltrepo Mantovano fino a qualche decennio fa.

Stessa origine, ma con presupposti storici meno affascinanti, ha il territorio della Media Pianura del Viadanese-Sabbionetano, anch’esso frutto di una lunga bonifica agraria completata solo nel 1939.

In entrambe le sottozone i suoli sono profondi, moderatamente calcarei, in genere di medio impasto, più ricchi di argilla nel viadanese, ben drenati nelle aree leggermente più elevate.

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Sono terreni fertili, con buona disponibilità idrica, che danno l’impronta ai vini da Lambrusco di Viadana e da Grappello Ruberti, i vitigni più coltivati.

Considerati a lungo lo stesso vitigno,

(ancora oggi dal disciplinare della Doc), la caparbietà dei soci della Cantina sociale di Quistello, la lungimiranza di un Assessore della provincia di Mantova e la ricerca affidata al professor Attilio Scienza hanno fatto sì che, dopo otto anni di studi, nel 2013 il Grappello Ruberti fosse iscritto a Registro Nazionale come varietà distinta.

Una vittoria dei viticoltori di Quistello che lo consideravano da sempre diverso dal cugino viadanese, sia per la forma del grappolo, più spargolo e allungato, sia per la capacità di dare vini corposi.

Il Grappello in origine si coltivava in una ristretta area tra il Po e il Secchia, precisamente a Quistello, terra natale dell’economo Ugo Ruberti che lo aveva identificato nel 1860.

Abbandonato perché non molto produttivo, di certo meno del viadanese, secondo Scienza “è forse l’unico lambrusco originario della viticoltura mantovana, relitto di una tradizione enologica” passata.

Leggermente più tardivo del Lambrusco viadanese, tollera meglio la botrite e sa resistere ai freddi invernali.

Oltre ai due citati lambruschi,

il Lambrusco Mantovano prevede Lambrusco Maestri, Marani e Salamino, da soli o congiuntamente, più un 15 % di Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Grasparossa, Ancellotta e Fortana.

Qualunque sia la sua composizione, “macchia la tovaglia”, ricco com’è di antociani e polifenoli che solo il clima umido e torrido estivo della pianura possono determinare, in particolare il Lambrusco di Viadana, dal colore quasi nero.

Ma come fare una comparazione tra Lambrusco di Viadana e Grappello Ruberti? Chi produce vini con tali vitigni in purezza?

I maggiori produttori della zona sono le Cantine sociali, sorte nel ‘900 sull’onda del cooperativismo emiliano.

Della Cantina sociale di Viadana Mirko Mortini, entusiasta factotum dell’azienda, mi propone il Lambrusco Mantovano Dop Cavalcabò 2020, 11.5 % vol., 100% viadanese.

Già premiato nel 2019

con la Corona della Guida Vini Buoni d’Italia, questo vino frizzante sfodera un rosso rubino profondo con riflessi porpora, impreziosito da una spuma cremosa.

Al naso è vinoso e fragrante. Mora selvatica, fragola e ribes rosso, peonia, garofano e una nota erbacea di foglia di vite tagliata.

Morbido e succoso, il sorso rinfresca per l’acidità e il finale amaricante. Metodo charmat lungo.

Della Cantina cooperativa di Quistello assaggio il Quistello Igp 80 Vendemmie rosso, 11 % vol., 100 % Grappello Ruberti, lambrusco frizzante premiato dal Gambero Rosso nel 2018.

Rubino compatto dai riflessi purpurei, anch’esso ha perlage cremoso e persistente. I profumi sono più gentili e meno erbacei del viadanese, floreali di viola mammola e fruttati di mora e prugna rossa in gradevolissimo bouquet.

Carezzevole e morbido al palato, la spinta acida e lievemente sapida gli conferisce bevibilità, sottigliezza ed una certa eleganza. Metodo charmat lungo. 

Interessante

è anche il frizzante Quistello Igp Gran Rosso del Vicariato, 11% vol., Grappello Ruberti con un saldo di Ancellotta che aggiunge colore, struttura e zucchero all’uvaggio.

Intenso rubino con unghia violacea, ha bollicine esuberanti e ben incorporate. Sentori di ciliegia molto matura, mirtillo, uva spina, geranio, con qualche cessione al sottobosco.

Vino pieno, polposo, fragrante e goloso, dalla trama tannica intrigante e una piacevole freschezza con ritorni fruttati. Metodo charmat.

Il confronto, seppure molto parziale, sembra dar ragione allo studio di Attilio Scienza, pubblicato sul N°11 dei Quaderni monotematici della rivista Mantovagricoltura, “IL GRAPPELLO RUBERTI nella storia della viticoltura mantovana”, che afferma: ”Il Grappello Ruberti risulta caratterizzato da note floreali, con spiccati sentori di frutta rossa e intensamente speziato; in bocca è equilibrato e persistente.

Il Lambrusco viadanese è invece contraddistinto da note più vegetali ed una maggiore amarezza in bocca.”

Sebbene le cantine cooperative siano le portabandiera della produzione storica della pianura mantovana, non mancano realtà emergenti: Bugno Martino è una giovane azienda collocata geograficamente nella terra d’elezione del Grappello Ruberti, a San Benedetto Po.

Giuseppe Zavanella

e sua moglie Raffaella nel 2011 lasciano i loro rispettivi lavori per tornare all’agricoltura dei loro nonni e proporre un lambrusco artigianale di qualità, ottenuto con una lavorazione biologica e sostenibile.

Giuseppe è contrario al blend e punta tutto sul monovitigno. Per tradurre il terroir, sceglie il Lambrusco Salamino, per lui il principe dei lambruschi, e anche un po’ di ancellotta per il più mantovano dei suoi vini, il Provincia di Mantova Igp Rosso Matilde, lambrusco frizzante, 12 % vol.

Rubino compatto, la spuma è fine e persistente. Netti i profumi di frutti di bosco, come ribes rosso e mirtillo, e di erba sfalciata, uniti a sentori minerali di grafite e speziati di ginepro.

In bocca è morbido e vibrante al tempo stesso per freschezza e buona sapidità, equilibrato e persistente. 

“Il residuo totale di solforosa è tra i 25 e i 35 mg/l. L’Azienda è biologica e biodinamica all’85 %.” spiega Giuseppe. “Sposo la biodinamica materiale, non quella esoterica.

Corno letame, corno silice, sovesci, trattamenti con rame e zolfo, ma uso anche l’acciaio e il controllo della temperatura che non sarebbero previsti. Niente integralismo, dunque…   

Tutta l’azienda

è nata con i filari a cordone speronato e piano piano sta passando al guyot, che riduce la produzione e la vegetazione, così l’uva risulta più soleggiata e arieggiata, ci spiega la moglie Raffaella.

Si cerca di valorizzare al meglio le uve, per creare vini autentici che rispecchino il territorio mantovano, ma anche la filosofia di Giuseppe: assecondare le viti con interventi limitati allo stretto necessario.

Assaggiamo il Lambrusco Mantovano Dop Ciamballà 2019, 12% vol., 100% salamino, metodo charmat lungo, inserito nella Top Hundred del Golosario 2017.

Il mio salamino è coltivato su 5 ettari di terreno di medio impasto ed è meno pungente e graffiante del Salamino di Santa Croce modenese che cresce su terreni argillosi duri duri duri”. 

Rosso rubino intenso, ma più trasparente del Rosso Matilde, ha spuma integrata e duratura.

Frutti di bosco al naso e una sottile nota pietrosa che gli dona finezza.

Il sorso entra secco e succoso, fresco, dinamico e coerente con la mineralità olfattiva. Piacevolmente sapido in chiusura. Porta il soprannome della figlia.

 “Di solito la prima fermentazione con macerazione del lambrusco va dai 2 ai 3 giorni; noi la facciamo dai 10 ai 12 giorni per dare vini più longevi.

Il Ciamballà è in bottiglia da un anno e mezzo. Però non bandiamo l’autoclave, perché dà migliore espressione ai profumi fruttati”.

Ancora più intrigante

il rifermentato Provincia di Mantova Igp Essentia 2019, lambrusco frizzante,12% vol.,100% salamino, metodo ancestrale.

Rubino di buona trasparenza, ha bollicine fini e ben incorporate.

Olfatto terroso, minerale con note di ribes e ciliegia. In bocca è tagliente: l’essentia minerale del suolo si sente, così come il frutto e la caratteristica nota sapida finale. 

Ma Bugno Martino non è solo Salamino.

Nel 2016, fedele alla filosofia del monovitigno e curioso di quell’uva autoctona così territoriale che probabilmente sarà il fiore all’occhiello della viticoltura futura della Bassa Padana, Giuseppe ha impiantato 4 ha di Grappello Ruberti, su terreno argilloso.

Ne uscirà presto un metodo classico rosé, 24 mesi sui lieviti, e un rifermentato da mettere a confronto con il Salamino: “Sarà bello assaggiarlo ogni mese per vederne l’evoluzione. Il salamino ha bisogno di un annetto per amalgamarsi dentro i suoi lieviti; il Ruberti si vedrà…”

E nella voglia di sperimentare di questo giovane vignaiolo indipendente c’è la volontà di valorizzare un lambrusco di cui si parla poco, all’insegna della qualità e dell’artigianalità, per farne un prodotto genuino e identitario.

 

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