Episodio 11
Episodio 11

Episodio 11

D
al Deserto al Cuore, passando dal Mare

 

In riproduzione: Postcard from Italy –  Beirut

In degustazione del calice: Deserto, Verdicchio DOC Classico Superiore Azienda Vitivinicola Socci

 

Certe volte mi chiedo come sarebbe la mia vita se avessi avuto un padre diverso dal mio, sin da piccola mi ha sempre coinvolto nelle sue avventure e nelle sue passioni ed io un po’ per spirito di emulazione, ma soprattutto per l’infinito amore l’ho sempre seguito passo per passo.

Quello che sono chiaramente è frutto della mia personalità, ma ovviamente plasmata dal contesto socio culturale dove ho vissuto e dal profondo amore della mia famiglia. Nessuno potrà mai descrivere i nostri intensi e silenziosi sguardi e dargli un senso verbale, però posso dire con certezza che somigliano molto agli sguardi tra Marika e il suo fantastico padre Pierluigi Socci, che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente.

In un mercoledì qualunque, complice il mio spacciatore di felicità (enotecario), al secolo Alessandro, mi organizza una visita che dovevo fare da tantissimo tempo in cantina, mi ritrovo il giorno seguente, dopo svariate peripezie a Castelplanio, direttamente in vigna. La prima visita che faccio in cantina da sola e credo fermamente che non sarà neanche l’ultima, perché è vero che sono un esteta della compagnia, ma quando sei da sola riesci egoisticamente a non condividere niente e tieni tutte le emozioni e attenzioni per te.

Sono tutti entusiasti del mio arrivo

e mi riservano un delizioso tavolo sotto un albero pazzesco, vista vigna, non una a caso, ma quella più alta, quella da dove viene creata una creatura perfetta come Deserto.

Tavolo da sola, non mi accadeva dai tempi in cui giravo l’Italia per lavoro e mi ritrovavo la sera ad entrare nei ristoranti e chiedere se fosse possibile cenare e puntualmente mi veniva chiesto: “E’ sola?”, dietro al mio “Sì” avrei sempre voluto rispondere “No con il mio amico immaginario”. L’effetto è stato un po’ questo alla vista del mio, con un solo coperto, ma neanche immaginate quello che sia accaduto intorno a quella tavola.

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L’impatto visivo appena arrivata è subito stato quello di un posto già vissuto e familiare, forse perché sono nelle mie amate Marche, ma soprattutto perché le persone che lo vivono hanno la magia di farti sentire a casa, talmente a casa, che mi ritrovo con i vassoi in mano per le scale e dare una mano alla mamma di Marika che nel frattempo mi aveva scambiata per una ginnasta, ma questa è un’altra storia.

Marika è un po’ in apprensione

perché ha un gruppo numeroso e sa già in cuor suo di non potermi dare la giusta attenzione che vorrebbe, così dopo il giro in vigna mi assegna suo padre al tavolo della degustazione come accompagnatore ufficiale della mia serata, che di lì a poco, inaspettatamente, si sarebbe rivelata una delle più belle della mia vita.

Io che di solito sono un asso a coppe per trasferire in parole le emozioni, questa volta faccio veramente fatica a spiegare quello che si è creato quella sera intorno a quel tavolo, ma da brava finta blogger, ci proverò.

Marika inizia a riempire i miei calici, me li presenta tecnicamente in maniera impeccabile, poi c’è Pierluigi che invece mi racconta la storia. Tutti sono increduli quando vanno a visitare la cantina e sanno che con un solo vitigno producono sei vini, avete capito benissimo, sei: Deserto, Marika, Martina, Ousia, l’ultima arrivata Bianca e Peterlouis sono i pezzi forti della cantina, vi chiederete perché forti, perché sono le anime e le vite che riempiono l’azienda e i filari, sono la famiglia Socci.

Da vera fan delle etichette, le scruto e le fotografo e ho l’immensa fortuna di avere Pierluigi che mi racconta dettagliatamente ogni storia, che gelosamente e in modo segreto vorrei tenere per me, ma che moralmente mi sento di condividere in parte, perché sono storie così belle che vanno raccontate.

L’etichetta è il biglietto da visita di ogni bottiglia,

la grafica e i colori sono importantissimi, quando non conosco un vino lo scelgo sempre per l’originalità e la bellezza dell’etichetta e su questo la famiglia Socci ha fatto un ottimo lavoro, non solo perché i vini portano i nomi di ogni componente della famiglia, ma perché hanno un particolare significato e legame.

Pierluigi è inizialmente talmente timido e delicato con me, che continuo a dargli del lei nonostante ormai dopo storie e confessioni reciproche, siamo diventati amici per la pelle. Potrei stare qui a raccontarvi sul perché della scelta del tappo a vetro di Deserto, delle scelte aziendali post 2008, sulla scelta dei nomi dei vini che sembra scontata ma non lo è, sulle tecniche di lavorazione del vitigno, sulla crioestrazione, ma sapete già che non farò niente di tutto ciò.

Pierluigi oltre che essere un ottimo vignaiolo dipinge

ed ha quella vena artistica che mi fa innamorare subito di lui, scopro che l’etichetta di Bianca è in parte un suo dipinto rivisitato. Nell’etichetta di Marika danzano le colline marchigiane, fino a scrutare il mare dalla cima di  Montedeserto, un’idea di Pierluigi che fa riprodurre dal pittore siciliano Tony Fanciullo, le colorate colline marchigiane nel susseguirsi delle quattro stagioni.

L’etichetta di Martina è una raffigurazione di un’antichissima vigna ancora in vita, fotografata in una sua passeggiata e riprodotta dall’artista Fabio Petrini, rimodellata insieme ad una donna, da cui partono i tralci, proprio a significare che la natura è donna.

Mi struggo quando è l’ora di Ousia (Spumante Metodo Classico Millesimato Pas Dosè), Ousia è Floriana, sua moglie, nell’etichetta il suo sguardo, tratto da una foto scattata da un cugino, se la memoria non mi abbandona, nel caso chiedo venia, ma ho praticamente ricostruito il loro albero genealogico. Ovviamente l’etichetta non rende giustizia al vero sguardo di Floriana che tutto è tranne che bianco e nero, ma un mix di verde e marrone che ti lascia ipnotizzato e una profusa dolcezza addosso.

Ousia è un termine armonico e dolce

e deriva dal greco che significa “sostanza”, poesia che si fa bevanda, gusto che si trasforma in cosa, mescolandosi alla materia e alla forma di ciò che siamo. Ometto parte del racconto e dichiaro che emozionalmente continua ad essere uno dei miei preferiti.

Quando tocca al suo vino è schivo e poco autocelebrativo: PeterLuis Spumante Metodo Classico Millesimato Brut, poche informazioni, nessuna storia pervenuta, congedandoci in casa al piano di sopra, tira giù da una mensola una bottiglia vuota di Giulio Ferrari e si fa scappare: “Il giorno che ho bevuto questa ho realizzato che avrei voluto fare una cosa del genere con il mio verdicchio”, nel suo sguardo ho intravisto in parte il sogno ed ho riconosciuto quel luccichio speciale a me tanto caro.

Potete immaginare me, la mia reazione e la mia sorpresa nel trovarmi in mezzo a tanta arte e sapere in una cantina? Chi mi conosce bene, lo immagina perfettamente. La serata e le nostre confessioni continuano a scorrere nel tempo ormai indefinito, quando Pierluigi decide di farmi assaggiare un verdicchio imbottigliato da suo padre Umberto, con il tappo a corona del 1996, l’etichetta di carta attaccata con lo spago, campione di controllo della camera di commercio di Ancona, scritta a mano con lotto, numero di bottiglia e annata.

Quella bottiglia era destinata e promessa ad un’altra persona,

di cui non faccio nome, la apre per me: tremo e mi pervade un mix di disagio ed esaltazione. Non ho mai bevuto un verdicchio così vecchio, chiuso poi con il tappo a corona, lo versa nel calice ed ha un colore pazzesco, lucente con riflessi verdolini, un vero capolavoro cromatico, senza neanche la necessità di portarlo al naso vengo letteralmente investita da un mix di idrocarburi, che poi nel tempo sostando nel bicchiere diventano più delicati.

Pungente al naso in maniera burbera, cosa ti aspetti al gusto? Prendo coraggio e lo assaggio, resto basita perché al gusto mi ricorda lo champagne, la crosta del pane, quindi mia nonna, il cassetto dei profumi e dei ricordi si apre ed è subito un viaggio emozionale, tanto da commuovermi. Potrei stare qui ore a descrivere questo momento ma è talmente intimo che non lo farò.

Pierluigi decide di regalarmi una bottiglia del 1994, la porto a casa tipo reliquia, insieme a tutti i suoi racconti, belli e brutti, insieme a centimetri di pelle d’oca e qualche lacrima sparsa, ad infinite risate e sorrisi e confessioni di due estranei quasi simili ed uguali. Mi metto in viaggio nel buio della notte sperando di non incontrare i suoi mostri per strada, che poi sono anche un po’ i miei. Vi starete chiedendo o forse no, perché non vi ho parlato di Deserto, sì è vero manca un vino, ma credo che abbia bisogno di un racconto tutto per se.

Mi ero ripromessa di non scrivere più,

volevo dare un punto fermo ad una situazione della mia vita e girare la boa, ma poi ho capito che per niente e nessuno vale la pena smettere di coltivare e portare avanti le proprie passioni, quindi eccomi qua con tante nuove storie da raccontare.

 

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