Racconto di una tradizione e dell’avventura umana
· di Olga Sofia Schiaffino ·
È
ancora buio quando mi accingo a partire da Randazzo con la squadra dei Vigneri e con Maurizio Pagano. Come ogni anno è finalmente giunto il momento di raccogliere il frutto di tanto lavoro.
È tempo di vendemmia.
L’aria è tesa e il primo sole la comincia a scaldare: un ottobre un pò capriccioso, quindi bisogna approfittare di questo stato di grazia per raccogliere l’uva che ci aspetta, matura e succosa, dondolando dai tralci.
Arriviamo a Vigna Moganazzi, che si distende leggiadra, ospitando piante di Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio, incastonata tra il versante nord dell’Etna e la catena dei Nebrodi. Dobbiamo a Mario Paoluzi ed alla sua azienda, I Custodi delle Vigne dell’Etna se questo territorio continua ad essere curato come sempre è stato: vigne ad alberello, conduzione manuale, solo piccole quantità di rame e zolfo, vendemmia manuale e… tanta passione.
I grappoli si lasciano andare nelle mani di chi li ha visti crescere e maturare nel corso dei mesi e vanno a riempire le ceste, che gli uomini portano in spalla fino al raduno, sul ciglio del campo, dove verranno svuotate nelle cassette, adibite al trasporto in cantina.
Il lavoro
è inframmezzato da canti, scherzi, sospiri: ti senti spezzare la schiena ma si deve proseguire. Ti meraviglia la vigoria delle piante e il colore blu degli acini perfetti, tondi, sodi, la generosità di questa terra magica e il desiderio dell’uomo di rimanervi fedele.
Alzando lo sguardo ci si accorge come la tradizione e la novità possono convivere e dare origine a progetti mirabili: accanto alla vigna è sorta la nuova cantina, con una bellissima sala degustazione, che si specchia in un panorama mozzafiato. Un’opera architettonica davvero interessante, che permette di osservare il rispetto della vinificazione e la volontà di rendere accessibile ai visitatori questa bellezza e poesia.
Mario è quasi commosso nel raccontare l’impresa ed aggiunge che sta “recuperando” un piccolo palmento adiacente alla cantina stessa, che servirà per fare il vino proprio secondo la cultura Etnea.
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Si continua a lavorare alacremente in vigna e mille sono i viaggi che Antonino, Alfio, Salvatore, Fabio e tutti gli altri cumpari fanno senza un attimo di riposo; anche in cantina il lavoro non manca e ad aspettare i frutti sono Angelo e Giuseppe, mentre l’enologo Di Grazia coordina i lavori e sorride, contento.
Si, perché la vendemmia è una festa.
La fatica non conta più, i mesi trascorsi, le mille preoccupazioni non esistono più: Il risultato è davanti ai tuoi occhi.
Ma non è solo uva quella che porti in cantina e che servirà a dare vita agli splendidi Pistus, Aetneus, Alnus o al bianco Ante (Carricante) o al maestoso Vinujancu (Riesling): si raccoglie umanità e senso di appartenenza e di rispetto.
Valori aggiunti che degustiamo nel vino e che apprezziamo come qualcosa di “diverso”, per il quale non è stato ancora coniato un termine descrittore da un sommelier…
Lo definirei –come dice Salvo Foti– “onesto”: proprio in questo stile di comunicazione il vino riesce a parlarci delle vigne, degli uomini e del loro fortunato e precario rapporto con il Vulcano.
La giornata volge al termine
ma l’emozione provata è ancora viva e ci accompagnerà per molto tempo…
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I Custodi delle vigne dell’Etna
Contrada Moganazzi
Solicchiata CT
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