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e l’hanno regalato. È un Alto Adige Pinot nero 2017 di Franz Haas, un mito della viticoltura italiana, forse l’interprete più autorevole di questo vitigno della penisola. Ma… (perché c’è un ma) ha il tappo a vite…
Brutta cosa il pregiudizio… È il pregiudizio che mi fa storcere il naso davanti al tappo Stelvin, o “Cork Free” come Haas ama chiamarlo… Ed è proprio per combattere questo “ingiustificato” preconcetto che mi è stato proposto l’assaggio di un vino di un grande produttore con questo tipo di imbottigliamento…
Certo, se un maestro come Haas, dopo anni e anni di prove, confronti e studi, è arrivato ad utilizzare quasi totalmente questo tipo di chiusura perché gli dà maggiori garanzie di conservare il prodotto e soprattutto di custodire tutto il lavoro in vigna in modo perfetto, senza interferenze con l’esterno, c’è da fidarsi!
Inoltre,
guardando un po’ al Nuovo Mondo, altre figure di spicco del panorama vitivinicolo nazionale da tempo hanno investito nello screw-cap, quale capsula a cui affidare la protezione non solo di vini giovani, ma anche dal lungo invecchiamento…
Ognuno di loro sostiene che il sughero di oggi non garantisce la perfetta sigillatura e che, oltre ad essere spesso responsabile del TCA, il sentore di tappo, modifica negativamente, altera, le caratteristiche organolettiche originarie del vino. Di qui la convinta adesione allo Stelvin (dal nome del brand più importante), che permette una degustazione autentica anche ad una lunga distanza temporale, preservando le caratteristiche di freschezza e di aromaticità del vino. Inoltre il tappo a vite, con la collocazione in piedi delle bottiglie, risolverebbe anche il problema dello stoccaggio.
D’altra parte c’è da fidarsi anche dei sostenitori del tappo di sughero, da sempre testimone della storia dell’enologia, fin dalla seconda metà del XVII secolo, quando in Francia divenne sempre più popolare, grazie anche alle precedenti sperimentazioni del monaco Dom Pérignon che lo adoperò, legandolo, per chiudere ermeticamente l’apertura di piccoli orci dove teneva i suoi rifermentati.
Da allora
i grandi vini francesi si sono imposti all’attenzione del mondo sempre corredati da questo accessorio; lo stesso si dica dei grandi vini rossi nostrani. Ad esempio il disciplinare del Brunello di Montalcino all’articolo 8.2 recita:” Per i vini a Denominazione di Origine Controllata e Garantita “Brunello di Montalcino”, possono essere usate unicamente bottiglie di vetro scuro di tipo bordolese e chiuse con tappo di sughero monopezzo; è vietato l’uso del tappo agglomerato e di qualsiasi altro sistema di chiusura.”
La sua elasticità assicura perfetta adesione e la porosità promuove una microssigenazione molto importante per l’affinamento del vino in bottiglia.
I fautori dello Stelvin sono convinti che tutto l’ossigeno che necessita al vino per evolvere sia sotto il tappo e che non serva in bottiglia, ma solo durante la maturazione in cantina; gli amanti del sughero al contrario ritengono il tappo a vite utilizzabile solo per vini giovani. Comunque esistono in commercio degli screw-cap capaci di far passare una certa dose di ossigeno attraverso una membrana: rappresentano una via di mezzo tra l’azzeramento del rischio TRC e l’ossigenazione, una sorta di Nomacorc in versione metallica.
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Detto questo,
non mi schiero da nessuna parte… Non sono assolutamente in grado di giudicare quale sia il tappo migliore… In realtà il mio non è un vero e proprio pregiudizio … Però…vuoi mettere la poesia nel rito di una stappatura tradizionale?
Incidi la capsula metallica con il coltellino del cavatappi, attento a “disegnare” un cerchio perfetto sotto il cercine senza sbavature, prima in senso orario e poi antiorario. Lo fai di nuovo, ma questa volta in verticale. Adesso rimuovi la capsula. Pulisci con cura con un tovagliolo, poi affondi la spirale nel tappo di sughero, senza muovere la bottiglia. Quindi ruoti il cavatappi, in verità con una leggera tensione nervosa, perché non puoi “trapassare” il tappo! Ora fai leva e lo estrai, ma non del tutto… Completi l’operazione con lo stesso tovagliolino di prima in mano, lentamente, badando a non far rumore…
Non è finita! E’ il momento di annusare il tappo per capire se il vino possa avere difetti, dopodiché lo liberi dal cavatappi e lo posi, sempre usando il tovagliolo.
Pulisci ancora l’apertura della bottiglia con un lembo: potrebbero esserci dei residui di sughero! Ci siamo: il vino è pronto per essere servito. Meglio però prima versarne una piccola dose nel tuo bicchiere e valutare se il vino è in buona salute.
Un rituale lento,
scandito da gesti precisi, suggestivo ed elegante… Per non parlare della stappatura di un vino lungamente invecchiato, da aprire con il massimo della cura mentre se ne sta lì, mollemente adagiato nel cestello, e guai a fare movimenti bruschi! Un cerimoniale da svolgersi con il fiato sospeso!
E un tappo a vite? Ahimè, si apre come una bottiglia d’acqua….
E come una bottiglia d’acqua alla fine l’ho aperto… Cercando l’eleganza nel piccolo sforzo che si fa, ho allentato la stretta e ho svitato la capsula di questo Alto Adige Pinot nero 2017 di Franz Haas 13.5% Tappo Stelvin.
Che dire?
È di un bel rubino tenue. Marasca, lampone, arancia rossa delineano l’olfatto, con sbuffi balsamici e note speziate di chiodi di garofano e leggera vaniglia. Profumi di cuoio e sottobosco in profondità. Il sorso è raffinato, fluido e pieno al tempo stesso, con un tannino levigato e una rinfrescante freschezza che lo rende meravigliosamente bilanciato. Di lunga persistenza. Armonico. Un vino perfetto.
Ma la qualità del vino non era in discussione!
E voi tra sughero e metallo cosa scegliete?