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a Baia del Silenzio a Sestri Levante si è animata di voci: una folla di appassionati winelovers, ristoratori e distributori si è data appuntamento per assaggiare vini naturali, biologici e biodinamici durante l’attesissima edizione di The Wine Revolution, organizzata da Paolo Cogorno e Nicoletta Zattone, con Davide Girlando, ufficio stampa della manifestazione.
Nel totale rispetto delle norme ed espletati i necessari controlli all’ingresso, il visitatore ha potuto degustare ai banchi dei produttori, dislocati sui tre piani del Ex-Convento dell’Annunziata.
Si è percepita una particolare atmosfera: commozione, attesa, gioia nel rivedersi e nel poter discutere in presenza del vignaiolo le nuove annate presentate.
Ecco alcuni assaggi che mi hanno colpito particolarmente, nel breve tempo che ho potuto trascorrere nelle sale; un racconto che non può considerarsi esaustivo sulle descrizioni delle “perle” presenti.
Liguria che propone espressioni di grande qualità: Felce Bianco e lo Scimiscià di Andrea Marcesini de La Felce, I vini di Casa del Diavolo amorevolmente curati da Federica Sala, le tessiture leggiadre dei vini di Possa presentati da Heidi Bonanini, Il Rossese e il Vigna Ciotti (Pigato) di Roberto Rondelli.
Super scoop Cantina Mortola! I Vigneti recuperati dal giovanissimo Leonardo e da suo cugino Jordy a Sestri Levante, Framura e Vernazza, in cui si può lavorare esclusivamente in modo eroico e manuale, hanno dato vita a bottiglie dalle etichette sorprendenti: Schizzo (rifermentato in bottiglia da uve di Vermentino, Bosco, Albarola, Traminer e Ialvasia istriana), Missile (Vermentino, Bosco, Albarola) e Molto Nero (blend di uve autoctone sconosciute).
Colpo di fulmine
per i vini artistici, dalla sponda destra di Bordeaux, della azienda Ormiale: James è un rosato affascinante non solo per il colore, le cui uve provengono da una vigna di Merlot e Cabernet Sauvignon condotta in biodinamica; non filtrato, imbottigliato senza aggiunta di solfiti. Ormiale 2017 è un setoso Merlot in purezza, che si offre in un sorso dinamico: le uve vengono diraspate a mano, solo 1516 bottiglie e 200 magnun. Fabrice ha raccontato la sua avventura, iniziata con 0,6 ettari 14 anni fa per arrivare ai 2,2 di oggi. “È la natura che decide che vino potrò fare in quella precisa annata, non uso solfiti e vivo intensamente il lavoro in vigna”. Tra le novità, l’arrivo di un vino bianco da Semillon!
Lazio sorprendente con i vini della giovane azienda Aurete, localizzata al confine con la Campania sul monte Cecubo, ricco di suoli appartenenti al Triassico e Giurassico inferiore, dove sono anche state trovate impronte di sauropodi e teropodi. Lavorano in biodinamica i circa quattro ettari dove sono state recuperati antichi cloni autoctoni, la Reale Bianca e il Raspato Nero. Eccezione fa il Syrah, perfettamente ambientato, che da vita a un vino straordinario.
Ca’ Sciampagna ha presentato vini alternativi, come li definisce Leonardo, perché cerca di raccontare il lavoro che fa in un territorio di confine insieme alla moglie: varietà autoctone quali il Bianchello del Metauro e il Sangiovese e viti impiantate negli anni Sessanta di Chardonnay e Sauvignon Blanc.
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Piacevolissimo
il rifermentato in bottiglia Zigara da uve bianche e rosse, con una piccola aggiunta di Aleatico.
Castel Del Piano (Toscana) e TerraQuilia (Emilia) hanno confermato con i loro prodotti qualità, tipicità e grande vocazione all’abbinamento con il cibo; piacevole l’incontro con Shun Minowa e l’ortrugo macerato che sosta cinque mesi sulle bucce.
Barracco (Sicilia) ha presentato diverse interpretazioni del Cataratto che ci hanno veramente convinto, come i vin de garage dell’autoctono Fabio Casaretto, che ha portato in degustazione un meraviglioso Senza Senso, uvaggio Ciliegiolo e Sangiovese, che racconta la passione e il lavoro di chi lo produce.
Avrei voluto e dovuto assaggiare mille altri vini e spero di ritrovare gli amici e i vignaioli il prossimo anno, per un nuovo The Wine Revolution.