· di Federica Calzolari ·
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o conosciuto questa cantina a Wine Revolution 2019, la bella rassegna di vini artigianali di qualità prodotti secondo la filosofia naturale che si tiene a metà novembre a Sestri Levante (GE), dove ero rimasta folgorata dalla finezza e dall’eleganza di questi rifermentati col metodo ancestrale.
Quel giorno mi sono ripromessa di conoscere personalmente TerraQuilia, così eccomi qui a Guiglia (MO), detta “il balcone dell’Emilia” per la posizione panoramica, a parlare con Francesco Tedeschini, genero di Romano Mattioli, l’artefice di un’impresa più unica che rara: impiantare vigne a 490 m di altitudine e soprattutto dove il vino non si era mai fatto, in particolare il lambrusco.
Sì, ogni contadino dei piccoli paesi che costellano le colline del medio Appennino Modenese aveva la sua vigna per il consumo personale, però il lambrusco si faceva più giù, a 150 m s.l.m., sulle colline che guardano la pianura, e il grechetto gentile lo si produceva alle spalle di Guiglia, sui Colli Bolognesi e in una ristretta zona delle colline modenesi, in quell’areale che ora è la Docg Pignoletto.
Lì, a quell’altitudine,
il terreno era adibito prevalentemente alla coltivazione di foraggio, erba medica ed erbe spontanee per l’alimentazione dei bovini da latte per il Parmigiano Reggiano.
Ai più sembrava un’avventura destinata a fallire quella di intraprendere una viticoltura così estrema, ma vuoi i cambiamenti climatici di questi anni, vuoi un pizzico di follia, vuoi l’incanto del podere Conca d’oro di Guiglia, nel 2004 Romano Mattioli acquista un appezzamento esposto a sud, protetto dai venti freddi invernali dalla collina su cui si adagia il paese, affacciato sul Monte Cimone da cui scende il fiume Panaro che porta costante ventilazione in estate e “percorso” da un’importante escursione termica notte giorno.
Mette quindi a dimora vitigni autoctoni del modenese oltre a qualche altro esotico vitigno sperimentale come il traminer, di cui ormai si producono “per gioco” solo un migliaio di bottiglie, il cabernet sauvignon, poi reinnestato, e il sangiovese, successivamente “ridimensionato” in versione rosé perché non arrivava a maturazione.
Nel 2007 si ristrutturano gli annessi architettonici del podere e nasce la prima cantina, con tutti i criteri dell’ecosostenibilità. Ecosostenibile, se così si può dire, era anche il vino, perché se per quel luogo il vino era una novità, non lo era il metodo produttivo: il tradizionale metodo ancestrale della rifermentazione in bottiglia tramandato dal padre di Romano, Arturo, che fin dagli anni ’70 faceva vino sulle collinette di Vignola (125 m s.l.m.), alla maniera di sempre.
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A questo punto
il lettore può approfondire la storia di questa azienda, oggi 11 ettari vitati, sul sito internet di TerraQuilia, che ne scandisce con chiarezza l’evoluzione. Culmina nel 2016 con la costruzione di una nuova sede dotata di un’ampia cantina sotterranea in cui affinare i vini per diverse lune, dove mi trovo adesso.
A me preme di più sottolineare l’affabilità emiliana di Francesco, l’empatia che sprigionano i suoi occhi e la sua risata contagiosa, l’entusiasmo e la fierezza con le quali “impregna” il racconto della sua visione di produttore rispettoso della tradizione, che sa chiaramente dove è diretto e ha netti i valori che guideranno il suo viaggio:
“All’inizio non avevamo idea di cosa saremo diventati. Mio suocero, figlio di contadini cui la vita aveva prospettato ben altro mestiere, verso i cinquant’anni aveva pensato di tornare alle origini, di fare il suo orto, il suo vino e di venderne magari qualche damigiana… Poi la passione ci ha preso la mano… Di certo avevamo chiaro di fare il vino come lo faceva il papà di mio suocero, con il metodo ancestrale – questa è una zona di bollicine – senza farci irretire dall’autoclave.”
Tre i poderi:
il Conca d’oro, il vigneto sperimentale, esposto a sud, dove si coltivano tutti i loro vitigni (Lambrusco Grasparossa, Malbo Gentile, Sangiovese, Pignoletto o Grechetto gentile, Trebbiano, Moscato, Malvasia e Traminer), il Fratelli Bandiera, a sud-ovest, solo per le uve rosse, e il La Riva, a nord, per il Sangiovese e le uve a bacca bianca, tra cui il riscoperto Verdicchio di Guiglia.
I terreni: il primo è composto da una terra bianca di calcare e sabbia, il secondo di argilla gialla e limo, il terzo di argilla nera e rocce. Tutti e tre i suoli contengono il calastrino, la roccia dei calanchi tipica del territorio. Ha la particolarità di acquisire umidità durante l’inverno (è dura, ma porosa) e di rilasciarla in estate.
“Così non irrighiamo mai!” ci dice Francesco con soddisfazione “E’ una roccia montana e per la vite va benissimo! Per il fenomeno dell’erosione in assenza di copertura boschiva, nello strato superiore si asciuga e si sfarina, dando origine ai calanchi. Sono suoli ricchi di componenti minerali che regalano sapidità ai nostri vini.”
Molte sono le scelte etiche
che caratterizzano la filosofia produttiva di TerraQuilia: recupero di terreni abbandonati da anni, edilizia ecosostenibile con autosufficienza energetica grazie ai pannelli solari, riciclo delle acque piovane; in campagna allevamento a spalliera con potatura guyot per contenere la produzione a vantaggio della qualità (65-70 quintali/ha, contro i 180 q cui si può arrivare nella Doc Grasparossa).
Niente diserbo, niente potatura verde (“Noi pensiamo che se si taglia la testa alla vite, lei lascia stare il grappolo e si concentra a rifare la foglia!”), vendemmia manuale in cassette di 15 chili con selezione delle uve in vigna “fatta dai nostri vendemmiatori storici, tra cui gli infaticabili ed esperti anziani che danno dei punti ai giovani!”; in cantina metodo della rifermentazione spontanea in bottiglia grazie ai lieviti indigeni, senza aggiunta di zucchero e senza filtrazioni, minima quantità di solforosa e dal 2012 l’impegno a scriverne in etichetta il residuo totale, che va da un min. di 25 g/l ad un max di 35 mg/l .
C’è poesia nel racconto di Francesco
quando spiega come è stata progettata la nuova cantina: il mosto durante l’inverno deve sentirsi come immerso nella natura, l’habitat da dove proviene l’uva, quindi il lato nord della costruzione, ispirata ad un grande pagliaio, è tutto in vetro con finestre aperte ai venti che porta il Panaro e che una volta servivano a lasciare andar via i gas che si sprigionavano dalla paglia che fermentava;
due finestre a mezzaluna sono dedicate alle fasi lunari, fondamentali per l’azienda, e un’altra, tonda, da cui si vede la torre del castello di Guiglia, rappresenta il sole ed anche le origini. Il nome TerraQuilia deriva da terra e dall’etimo latino Aquilia, quindi significa “terra di Guiglia”.
Qui sono allineati fermentini semprepieni in acciaio inox, dove il coperchio fa su e giù per togliere ossigeno e tenere il vino sottovuoto al di sotto di camere d’aria, altri più tecnologici dove il “vuoto” viene riempito con azoto alimentare;
ci sono i vinificatori, alcuni con pompe per i rimontaggi del lambrusco Falconero e dell’altro rosso per estrarre antociani, tannini e sostanze aromatiche e per eliminare possibili sensazioni di ridotto con l’ossigenazione, tutti tini con tasca di condizionamento termico. “Per fare ancestrale il freddo è obbligatorio!”
“Naturalmente non c’è l’ombra di un’autoclave! La microfiltrazione del metodo charmat lascia nel tino uno strato di fondo ricco di lieviti e di sostanze che fanno stare in piedi il vino! I vini passati attraverso un filtro sono vini morti, quindi hanno vita corta.
Ecco perché
si dice che un Lambrusco deve essere consumato entro l’anno. Ma se tu non lo filtri e lo affini in bottiglia sui lieviti vedrai che dura anni! Non è il lambrusco che non ce la fa: è il metodo di produzione!” afferma appassionato Francesco, con quell’irresistibile accento emiliano.
“L’illimpidimento viene fatto durante l’inverno senza caseine, albumine o colla di pesce (“siamo certificati Bio vegan”); col freddo che permette alle parti solide di precipitare sul fondo dei serbatoi refrigerati, facciamo la decantazione, poi il travaso, quindi otteniamo un prodotto limpidissimo da imbottigliare a primavera per caduta, nella cantina sottostante, in modo da non utilizzare solforosa: l’uso di una pompa la richiederebbe...”
Ne aggiungiamo 5 grammi in pigiatura per quintale, e basta. La usiamo con coscienza, dai 20 ai 30 mg, e lo dichiariamo in etichetta dopo aver avuto il permesso dal Ministero della Salute.
Nell’imbottigliatrice, le bottiglie vengono etichettate e tappate con tappo a sughero raso per i vini fermi, ma anche per quelli col fondo (vogliamo continuare la tradizione dei rifermentati col tappo: quello a corona non ci piace), oppure con il tappo a fungo per i rifermentati sboccati.”
Eh, sì.
Altra genialità messa in campo da questa giovane e intraprendente azienda: una macchina per la sboccatura à la volèe, non à la glace, dei loro vini frizzanti sboccati. Questa tipologia è una loro invenzione per regalare agli appassionati un ancestrale senza fondo. Visti i soli 2.5 bar di pressione, il candelotto congelato farebbe fatica ad essere espulso… E poi con questo sistema si perdono solamente 0.2 bar! Un’idea a brevetto italiano nata a Castelvetro cui hanno partecipato cinque cantinieri, tra cui il loro, e un ingegnere nucleare.
Progetto non meno interessante è quello legato alla fiducia del signor Guerra, che a Monte Orsello (523 slm), frazione di Guiglia, aveva ancora due filari del nonno di uva vardaccia, un’uva dalla buccia spessa, tipica di questa zona, che si era adattata agli inverni rigidi di un tempo (qui il lambrusco non c’era) e a cui, nel 2004, era piaciuto il fatto che nascesse una cantina a Guiglia.
Prese le marze e fatti gli innesti,
foglie e grappoli erano stati spediti all’Università di Verona: l’esame del DNA aveva identificato l’uva come un clone di verdicchio. È entrato così nell’elenco degli autoctoni dell’Emilia-Romagna con il nome di Verdicchio di Guiglia e Terraquilia è rimasta proprietaria delle barbatelle. È il vitigno del frizzante Tresassi che degusteremo tra poco.
“La nostra filosofia si rifà ai nostri nonni, che, assaggiati i chicchi del tardivo lambrusco, a fine ottobre-inizio novembre vendemmiavano; nel tino spontaneamente partiva la fermentazione grazie ai lieviti dell’uva e della cantina; in inverno poi la temperatura si abbassava e i saccaromiceti si addormentavano e non completavano la fermentazione; in primavera, imbottigliato il vino col residuo zuccherino, i lieviti si risvegliavano, trovavano lo zucchero e rifermentavano: così nasceva il frizzante.
È una tradizione di vini frizzanti che va da Modena a Piacenza in terre collinari appenniniche dove l’inverno era veramente inverno. Il nostro metodo ancestrale è il metodo della tradizione, quindi.”
Veniamo finalmente alla degustazione.
La gamma è piuttosto ampia, tra frizzanti col fondo e sboccati, spumanti (diversi dai frizzanti solo per la quantità di zucchero, non per il metodo) e vini fermi.
Questi gli assaggi.
Il Nativo Ancestrale Grechetto Gentile dell’Emilia Igp 2018
(Alc. 12% vol), con un saldo di Trebbiano Romagnolo è sorprendente: imbottigliato durante la prima fermentazione e sboccato à la volèe dopo almeno 20 mesi sur lies, ha bollicine fini ed incessanti che ravvivano il colore paglierino tendente al dorato. Naso di susina matura, erbe aromatiche, lavanda, con nuances di creme brulèe. Sorso deciso ed elegante, cremoso, fresco, sapido, teso e rinfrescante. “E’ un saten emiliano! Ha 3,5 bar di pressione non dichiarati.”.
Il Tresassi zero 2018,
frizzante 100% Verdicchio di Guiglia (Alc. 11,5% vol), è un vino beverino: messo in bottiglia durante la prima fermentazione e sboccato dopo 30 mesi sui lieviti, ha un perlage fitto e incessante che trascina fragranti sentori agrumati di lime e foglia di limone. In bocca ha una freschezza tagliente che invoglia alla beva, un finale pulito e pulente.
Il Sanrosè Zero 2018,
rosato frizzante dell’Emilia Igp 100 % Sangiovese (Alc. 11,5%), è anch’esso imbottigliato durante la prima fermentazione e sboccato dopo 20 mesi di permanenza sui lieviti. Ha veste rosa antico e spuma vitale e numerosa. L’olfatto è intrigante: pompelmo rosa, fragoline di bosco, erbe aromatiche (su tutte la menta). Al palato è gustoso, corroborante, dinamico nel flusso fresco-sapido e leggermente amaricante. Te ne bevi una bottiglia senza neanche accorgertene!
Il Falconero Zero 2018 Emilia Igp,
Lambrusco Grasparossa con piccolo taglio di Malbo Gentile (Alc. 11,5%) è un lambrusco di nicchia. Macerato sulle bucce per 6-7 giorni e sboccato dopo almeno 15 mesi sur lies, ha 0,4 g/l di zuccheri. Rosso rubino cupo, impenetrabile, l’abbondante mousse sventaglia un bouquet ampio: violetta e poi subito mora selvatica e lampone, quindi erbe officinali, una tenue speziatura di pepe nero e accenni minerali. Secco, fresco, verticale, fluido ma pieno, succoso, con una finissima trama tannica. Perfetto con un classico cotechino!
ll Falconero 24 di Monte Alfonso 2018, lambrusco dell’Emilia Igp Riserva 24 mesi,
lambrusco Grasparossa con un 10% di Malbo Gentile (Alc. 12 %), fa parte della linea “col fondo” perché lasciato con il proprio naturale sedimento per ben due anni in bottiglia! “E’ il nostro giocattolo. Proviene dal vigneto più vecchio che abbiamo, con suolo di calcare e sabbia.”
Rubino fitto, compatto, al naso emana sentori balsamici, di frutti rossi maturi e note dolci e amare di rabarbaro. In bocca ha struttura e morbidezza, ma anche tensione acida e un tannino presente e ben integrato. Il sorso è avvolgente, ricco di frutto; la bollicina è un velluto. Un vibrante, magnifico lambrusco d’alta quota.
Infine, un vino fermo macerato sulle bucce per 8-10 giorni e affinato in bottiglia per almeno 36 mesi,
il Malbone 2016 Emilia Igp
(Alc. 13%), 100 % malbo gentile. Rosso granato, il bouquet si esprime con sentori di frutti di bosco, erbe aromatiche, anice stellato e pepe nero. Morbido al palato, ma fresco e giustamente tannico. Di buona struttura e persistenza.
Vini sinceri, tradizionali, ma precisi, puliti ed eleganti, fatti col rigore della tecnologia al servizio della naturalità. Vini che danno piacere. “Uva spremuta, senza nessun tipo di filtrazione, con i lieviti indigeni e una bassissima dose di solforosa. Dall’uva alla bottiglia senza aggiunta di altre sostanze ammesse per uso enologico!” conclude soddisfatto Francesco.
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TerraQuiglia
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