· di Olga Sofia Schiaffino ·
O
rmai non faccio altro che raccontare della meravigliosa esperienza sulla Norwegian Pearl nel Mediterraneo! Tappa d’obbligo a Napoli, salita sul Vesuvio e gita a Pompei.
Avevo visitato la città distrutta dalla eruzione del 79 d.C. con la mia famiglia quando ero una bambina e ritornarci è stata una vera emozione: la nostra guida, Sebastiano era molto preparato e ci ha condotto attraverso le case, i miti, la storia e le curiosità. Mi ha raccontato del vino di Pompei e mi sono incuriosita. Ecco alcune notizie.
Nella zona archeologica ora catalogata come Regio I e Regio II esistevano vigneti proprio dentro le mura della città: inoltre nel Foro Boario la scoperta di una cantina per la pressatura delle uve e delle anfore interrate (dette Dolii) per raccogliere il mosto. Plinio il Vecchio descrive tutto ciò nel suo Naturalis Historia ed elenca le varietà coltivate nei suoli ricchi di minerali di Pompei: Columbina Purpurea (Piedirosso), Vitis Oleagina (Sciascinoso o Olivella) e anche Vitis Hellenica (Aglianico) che sottolineava importato dalla Grecia al pari della varietà a bacca bianca detta Vitis Aminea Gemina (Greco).
Nel 1996,
il ritrovamento di radici di vite e gli studi sul DNA hanno confermato quanto annotato da Plinio ed è iniziato un progetto di collaborazione tra la Sovraintendenza Archeologica di Pompei e l’azienda vitivinicola Mastroberardino, consistente nel ripiantare nelle zone utilizzate prima della eruzione le viti e di far rinascere il vino di Pompei. Si è scelta la conduzione ad alberello con un sostegno in legno ed una potatura corta: i cloni scelti dopo aver valutato vigoria e condizioni pedoclimatiche sono stati il Pedirosso, Sciascinoso e l’Aglianico.
Nel 1999, dopo tre anni le viti sono giunte alla prima vendemmia ed i risultati raggiunti hanno spinto ad espandere l’area coltivata.
Nel 2001 è uscita la prima annata curata da Antonio Mastroberardino, che ha visto protagonista un blend di Piedirosso 90% e Sciascinoso 10 %, chiamato Villa dei Misteri (dedicato a una delle domus più belle che la storia ci ha consegnato), vinificato e affinato in legno. Solo 1721 bottiglie vendute all’asta agli appassionati, i cui proventi sono stati utilizzati per il restauro della antica cantina del foro Boario.
Nel 2011 al blend è stato aggiunto l’Aglianico, circa un 40%, accanto al Piedirosso 40% e al restante 20% di Sciascinoso.
Un vino di corpo, avvolgente e complesso che riporta indietro nel tempo, affascinando il degustatore: sentori di ciliegia, prugna, cenni di vaniglia e di tabacco, rosa, peonia, con una trama tannica elegante e una chiusura sapida.
Una citazione è doverosa,
un omaggio a Plinio il Vecchio che perse la vita durante l’eruzione del Vesuvio e ci ha lasciato mirabili scritti: “Da dove potremmo cominciare se non dalla vite, rispetto alla quale l’Italia ha una supremazia così incontrastata, da dare l’impressione di aver superato con questa risorsa, le ricchezze di ogni altro paese, persino di quelle che producono profumo? Del resto, non c’è al mondo delizia maggiore del profumo della vite in fiore”
Leggi anche:Umbria del Sagrantino: Arnaldo Caprai
(Naturalis Historia, XIV, 8)
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Mastroberardino
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