Kαλὸς καὶ ἀγαθός (kalòs kai agathòs)
· di Chiara Campora ·
”
B
ello e buono”, dicevano gli antichi Greci, per indicare chi è in possesso di tutte le virtù, considerando la bellezza esteriore come strettamente collegata a quella interiore.
La bellezza nella cultura greca arcaica è concepita come un valore assoluto donato dagli dei all’uomo e l’appellativo è spesso utilizzato per gli eroi omerici.
Omero c’entra sempre, quando si pensa alla Grecia e non poteva non venirmi in mente assaggiando questo vino di Cefalonia.
In occasione della nostra vacanza nelle Ionie,
abbiamo toccato con mano (o meglio con il palato…) la qualità del vino prodotto su queste isole, vicine alla Puglia, crocevia di popoli che hanno lasciato tracce del loro passaggio ma, fortunatamente, non ne hanno intaccato il patrimonio ampelografico.
Ne è una testimonianza questo vitigno, il Vostilidi, conosciuto anche come Goustolidi o Vostolidi, autoctono dell’isola di Cefalonia, fiero ed energico come i suoi abitanti.
Lo abbiamo conosciuto durante un’indimenticabile visita alla cantina Sclavos, a Lixouri, nella parte sud-orientale dell’Isola.
In mezzo a innumerevoli assaggi, questo bianco, prodotto in circa 2.000 bottiglie, mi aveva letteralmente folgorata, per la sua potenza e il suo gusto pieno, che però non stanca mai.
L’enologa ci aveva raccontato
che si tratta di viti centenarie (è la vigna più vecchia di proprietà della famiglia Sclavos, nella località di Kechriona), a piede franco, ad alberello…ma io già non la ascoltavo più, perché ero ormai perdutamente innamorata di questo vino.
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La conduzione in vigna segue i dettami dell’agricoltura biodinamica e l’uva, raccolta in genere a inizio agosto (Metagitníon era il secondo mese del calendario attico: grazie all’amico Ioannis, greco vero, per l’esauriente spiegazione), inizia la fermentazione in acciaio, per poi completarla in botti grandi, dove affina per 6-8 mesi.
Nessuna filtrazione né aggiunta di solfiti al momento dell’imbottigliamento.
Il risultato è un’ambra liquida che quasi ti acceca e ti fa venire voglia di indossarla al collo, come fosse un ciondolo.
Al naso si apre un ventaglio di albicocche, macchia mediterranea, miele, con una leggera spruzzata di agrumi che fa capolino appena il nettare si riscalda.
Ma è all’assaggio che ti travolge definitivamente:
caldo come il sole della Grecia, potente, lievemente tannico, si espande in ogni direzione e poi cerca di andarsene, ma non ci riesce, con una scia fresco-sapida che regala anche una nota finale amaricante, piacevolissima.
Pieno, generoso, elegante, unico, bello e buono proprio come un eroe omerico.
E Omero c’entra sempre, perché Itaca è vicina.
E un po’ adesso lo capisco Ulisse che ha vagato per 10 anni nel Mediterraneo, tra la Maga Circe, i Ciclopi, avventure e sventure varie, per tornare a casa, dalla sua Penelope…ma secondo me anche per ritrovare un vino come questo, raro e delizioso.
Come Ulisse si è fatto legare per resistere al canto delle Sirene, io mi sono fatta “legare le mani” per risparmiare un ultimo bicchiere, da assaggiare il giorno successivo, in cerca di nuove sensazioni.
Che puntualmente arrivano: al naso si arricchisce di sentori di fieno secco e un accenno di smalto, mentre in bocca diventa ancora più dirompente.
In una parola, appagante.
In preda a una botta di nostalgia greca, lo abbiamo abbinato a una torta di melanzane, pomodori e feta, a voler ricordare le gustose tiropita.
Non so se il tentativo di omaggio sia riuscito, ma per un attimo ci siamo ritrovati a Cefalonia, all’ombra di un pergolato, a parlare di vino e di vita.
Che poi sono intimamente connessi, come il bello e il buono dell’eroe omerico.
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Sclavos Zisimatos Winery
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